STEINA E WOODY VASULKA | Noisefields | 1974 | 11′ 17″

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STEINA E WOODY VASULKA | Noisefields | 1974 | 11′ 17″

de il7 – Marco Settembre

Steina e Woody Vasulka (nata a Reykjavik, 1940; nato a Brno nel 1937) si sono formati rispettivamente come violinista classica e come ingegnere specializzato in produzione cinetelevisiva diplomato all’Acca-demia delle Arti dello Spettacolo e si sono incontrati nei primi anni ’60. Trasferitisi a New York nel 1965, sono stati tra i pionieri della videoarte, fondando lo studio The kitchen, nel 1971. Dopo l’arrivo in USA Woody firmò documentari indipendenti e curato diversi film industriali. Nel 1968 Woody condusse i suoi primi esperimenti con immagini realizzate grazie a dispositivi elettronici, accantonando la forma cinematografica in favore del video. Accusati fino a metà dei ‘70’s di trascurare l’aspetto sociale del mezzo, i Vasulka si sono specializzati in una sofisticata ricerca dell’interazione artistica tra media informatici ed elettronici ed altri stru-menti tecnici, alla ricerca della fenomenologia video e della malleabilità dell’immagine, e in generale di un controllo del rapporto arte-tecnologia, inventando diversi strumenti, dal sistema MIDI alle machine vision, dagli ibridi autonomi alle tavole interattive, fino al morphing. Attenti a sfruttare la cultura meta-industriale che è uno dei motori dello sviluppo USA, hanno proficuamente investito in ambito estetico la nozione che una frequenza elettromagnetica commutata in diversi modi può originare suoni o immagini oppure mostrare la linea di confine in risultati in cui l’audiovisivo è effettivamente una dimensione unitaria. Dal 1980 vivono e la-vorano a Santa Fe, New Mexico. Nel 2006 l’organizzazione VIVID di Birmingham ha commissionato la pub-blicazione del testo “Vasulka Lab 1969-2005”, con un ampio corredo di illustrazioni.

“Noisefields” Il violento flickering porta un disco bianco su fondo nero o il contrario a pulsare frene-ticamente passando attraverso diverse trasformazioni optical anche cromatiche in un rapporto figura-sfondo “inquinato” da texture di disturbo elettronico, accompagnate da analoghe alterazioni sonore: fruscii, crepitii, sibili e scoppiettii, sempre a ritmo elevatissimo. Il disco centrale sembra a tratti porsi come un globulo rosso o una pupilla sospesa tra esplosione ed implosione, un super-occhio o cine-pugno ejzensteiniano minimale con tutta la forza virale di un archetipo geometrico elettronicamente generato, puro segnale sul punto di farsi rigettare nel nostro mondo da un cyber-altrove brulicante di impulsi, ovvero da un mondo di disturbi antago-nisticamente opposto alla sfera delle “significanti” immagini dei media più allineati. “Il nostro lavoro è un dialogo tra l’utensile e l’immagine. Invece di rappresentarci un’immagine in uno spazio astratto per farne in seguito un modello cosciente e tentare di realizzarla, noi fabbrichiamo o adattiamo un utensile con il quale dialoghiamo”. In questo caso si assiste ad un bombardamento dell’occhio da parte di un altro occhio, una guerra dei mondi che rende drammaticamente esplicita, oltre alla forza formalista dell’audiovisivo speri-mentale, e del suo esoterismo tecnologico, forse anche il ruolo di schermo vivente che il nostro cervello, per tramite della retina, è chiamato a rivestire, bersaglio di messaggi-proiettile in genere subdolamente masche-rati da messaggi comunicativi più “piani”, ma in realtà, in barba alla tanto sbandierata interattività, pur sem-pre flussi unidirezionali passivizzanti.

il7 – Marco Settembre

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