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FESTARTE al ‘4 stelle’ Occupato HOME THEATRE – Prima rassegna di videoarte domestica

Redazione videoPILLS | 23/05/2014

Domenica 25 maggio 2014 | dalle ore 16 alle 20 | al ‘4 STELLE’ Occupato – nell’ambito delle iniziative per il Mediterraneo Antirazzista- Via Prenestina 944 – Roma, si terrà HOME THEATRE la PRIMA rassegna di videoarte domestica a cura di Lorena Benatti per Festarte, Giorgio de Finis, Donatella Giordano, Mattia Pellegrini, Donatella Pinocci, Davide Ricco, Olivia Spatola con la collaborazione degli abitanti del ‘ 4 STELLE’.

Per questa speciale occasione come per quella precedente al MAAM – Museo dell’Altro e dell’Altrove, Lorena Benatti per FESTARTE propone il un percorso sul tema ‘L’ALTRO E L’ALTROVE’ – 22 opere: 3 prime, 13 dal mondo e 6 dall’Italia, selezionate dagli archivi video di Festarte.

Il ‘4 stelle’ è 1 ex albergo e 1 luogo dove coabitano persone provenienti da diverse regioni del mondo. Le opere collocate nelle stanze saranno rese visibili nei televisori di proprietà di ciascuna famiglia, in stretto dialogo con gli abitanti, i loro ambienti ed il pubblico. Un nuovo assoluto per un caleidoscopio di rimandi e percezioni.

CHI È L’UNO E CHI L’ALTRO? DOVE IL QUI E L’ALTROVE? UNA RASSEGNA SUL VULNERABILE CHE È IN NOI. In primo piano riflessioni su etica, rispetto, riconoscimento delle diversità e dell’uguaglianza, esclusione, libertà, separazione, oppressione, legalità, questioni identitarie…

SEZIONE PRIME : Elena Bellantoni; Cinzia Sarto; Elio Castellana RASSEGNA MONDO Morten Dysgaard; Javier Orlando Castro Rivera, Celia Gonzalez, Yunior Aguiar; Mladen Stropnik; Noemi Sjöberg; Eduardo Gabriel Herrera; Outi Sunila; Julieta Maria; Yasmijn Karhof; Ruben Broekhuis & Kees Riphagen; Sylvia Winkler & Stephan Koeperl; Asaf Shani RASSEGNA ITALIA Loredana Longo; Pietro Mele; Estevan Bruno; Luca Lumaca; Davide Sebastian; Marco Pellegrino.

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FESTARTE MAAM – Museo dell’Altro e dell’Altrove – Roma

Redazione videoPILLS | 21/05/2014

HOME THEATRE – Prima rassegna di videoarte domestica

Venerdì 16 maggio 2014 dalle ore 16 alle 20 | al MAAM – Museo dell’Altro e dell’Altrove_ Space Metropoliz – Via Prenestina 913 – Roma, si terrà HOME THEATRE la Prima rassegna di videoarte domestica a cura di Lorena Benatti per Festarte, Giorgio de Finis, Donatella Giordano, Mattia Pellegrini, Donatella Pinocci, Davide Ricco, Olivia Spatola con la collaborazione degli abitanti del Metropoliz.

Per questa speciale occasione Lorena Benatti per FESTARTE , costruisce il suo percorso curatoriale sul nome del museo, proponendo la rassegna ‘L’ALTRO E L’ALTROVE’ – 22 opere: 3 prime, 13 dal mondo e 6 dall’Italia, selezionate dagli archivi video di Festarte.

Il MAAM è 1 Museo, 1 centro di incontro culturale, 1 ex fabbrica e 1 luogo abitativo, nel quartiere di Tor Sapienza dove coabitano circa 200 persone provenienti da diverse regioni del mondo. Le opere collocate nelle abitazioni saranno rese visibili nei televisori di proprietà di ciascuna famiglia, in stretto dialogo con gli abitanti, i loro ambienti ed il pubblico. Un nuovo assoluto per un caleidoscopio di rimandi e percezioni.

CHI È L’UNO E CHI L’ALTRO? DOVE IL QUI E L’ALTROVE? UNA RASSEGNA SUL VULNERABILE CHE È IN NOI. In primo piano riflessioni su etica, rispetto, riconoscimento delle diversità e dell’uguaglianza, esclusione, libertà, separazione, oppressione, legalità, questioni identitarie…

SEZIONE PRIME : Elena Bellantoni; Cinzia Sarto; Elio Castellana RASSEGNA MONDO Morten Dysgaard; Javier Orlando Castro Rivera, Celia Gonzalez, Yunior Aguiar; Mladen Stropnik; Noemi Sjöberg; Eduardo Gabriel Herrera; Outi Sunila; Julieta Maria; Yasmijn Karhof; Ruben Broekhuis & Kees Riphagen; Sylvia Winkler & Stephan Koeperl; Asaf Shani RASSEGNA ITALIA Loredana Longo; Pietro Mele; Estevan Bruno; Luca Lumaca; Davide Sebastian; Marco Pellegrino.

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WORLDS IN COLLISION, Adelaide International 2014 | Australia

Redazione videoPILLS | 27/02/2014

Adelaide, Australia. 28 Febbraio – 16 Marzo 2014. Queste le coordinate di WORLDS IN COLLISION, Adelaide International 2014, video art festival curato da Richard Grayson. Una manifestazione, volta a suggerire, attraverso le opere esposte, un modo nuovo di modellare e immaginare il mondo, che delinei i confini di ciò che è conosciuto per spingersi subito oltre essi.

Come si evince dal titolo, WORLDS IN COLLISION, Adelaide International 2014 ha una natura contraddittoria, eclettica, che indaga la politica, la psicologia, ma anche la tecnologia per poi focalizzare l’attenzione sull’originale visione della realtà offerta dagli artisti, caratterizzata da molteplici possibilità di trasformazione e cambiamento.

Quattro location diverse faranno da cornice alle opere degli otto artisti internazionali invitati a partecipare che proporranno, attraverso scenari improbabili e surreali, altrettante, inedite Weltanschauung.

Artisti: Benedict Drew (UK), Joana Hadjithomas and Khalil Joreige (LEB/FRA), Susan Hiller (UK), Paul Laffoley (US), Rä di Martino (ITA), Katie Paterson (UK), Fred Tomaselli (US), Artur Żmijewski (POL).

Info: http://www.adelaidefestival.com.au/2014/visual_arts/adelaide_international-worlds_in_collision

di: Ludovica Palmieri

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Oslo Screen Festival | International Festival for Video Art

Redazione videoPILLS | 26/02/2014

Dal 6 al 9 Marzo 2014 avrà luogo la IV edizione dell’Oslo Screen Festival, dedicato a video arte ed happening.
Nato nel 1998 dall’idea dell’artista Margarida Paiva e del producer Rune Sandnes, l’Oslo Screen Festival, iniziativa no profit, si presenta come una piattaforma per la video arte in Norvegia, rivolta ad un pubblico internazionale.
Lo scopo è quello di demolire le barriere culturali, per promuovere la diversità delle forme espressive e per stimolare l’interesse e la consapevolezza del pubblico internazionale verso queste nuove manifestazioni artistiche .

Il festival, aperto ad artisti affermati ed emergenti, pone al centro i lavori che sviluppano, attraverso la soggettività e la sperimentazione, un linguaggio originale. Al fine di non costituirsi come manifestazione isolata, e di promuovere l’internazionalizzazione della video arte in Norvegia, l’Oslo Screen Festival propone, durante ogni edizione, programmi curati in dialogo con altri festival internazionali. Tutte le opere selezionate entrano a far parte dell’archivio della manifestazione.

Info: http://screenfestival.no/

di: Ludovica Palmieri

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Everything we see could be something else, Laurent Montaron – Monitor, Roma

Redazione videoPILLS | 26/02/2014


Dal 27 Febbraio al 10 Maggio 2014 la galleria Monitor ospita Everything we see could be something else  la mostra personale di Laurent Montaron. Il titolo dell’esposizione costituisce un’efficace chiave per leggere i lavori dell’artista francese, già a Roma nel 2013 come pensionnaire dell’Accademia di Francia – Villa Medici, che partono dalla storia della tecnologia per esaminare i sistemi di credenze contemporanei. Attraverso l’investigazione degli strumenti che creano le nostre rappresentazioni, Montaron svela i paradossi che accompagnano la conoscenza della modernità. Focalizzando la sua attenzione sull’atto della “registrazione” come tentativo di tradurre l’esperienza in informazione, l’artista sottolinea come  “nessuna immagine può essere separata dal proprio processo di creazione”.

Presso la galleria Monitor verrà presentato il suo nuovo film The Nature of the self, realizzato con il supporto dell’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici, 2013, due lavori fotografici e l’installazione How can one hide from that which never sets?, 2013. 
Seppur con linguaggi diversi, tutti i lavori esposti riflettono su un medesimo tema l’opposizione tra l’impulso verso razionalità e progresso dato dagli sviluppi tecnologici, e i processi misteriosi creati dalle macchine irrazionali, nella misura in cui essi piuttosto che per ottenere chiarezza e coerenza, possono essere usati anche per nascondere, complicare, oscurare.

Mostra realizzata con il supporto dell’ Accademia di Francia a Roma – Villa Medici.

info: http://www.monitoronline.org/

Di: Ludovica Palmieri 

 

 

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She Devil 6 – Studio Stefania Miscetti, Roma

Redazione videoPILLS | 25/02/2014

 

Lo Studio Stefania Miscetti apre le porte martedì 25 Febbraio a SHE DEVIL SESTO, rassegna di video art al femminile, quest’anno giunta alla sesta edizione. Sette artiste vengono introdotte da altrettante curatrici per indagare, in continuità con gli anni passati, la realtà attraverso uno sguardo bizzarro e ironicamente diabolico.
La presente edizione ha come tema la possibilità di riconquistare la capacità di immaginare, di inventare un futuro altro, non-definito, al fine di proporre un punto di vista nuovo, critico sulla realtà attuale. Data la necessità di cambiamento SHE DEVIL 6 demanda alle artiste e alle curatrici internazionali coinvolte, di svelare nuovi percorsi, facendo leva sulla sovversiva idea che la società può essere cambiata, che i rapporti di potere possono essere rovesciati, che si può scegliere di ricordare ciò che alcuni ritengono sia meglio dimenticare.

Curatrici e artiste – Antonia Alampi: Malak Helmy, Dobrila Denegri: Mana Salehi, Pia Lauro: Payal Kapadia, Orsola Mileti: Barbara Visser, Manuela Pacella: Jeanne Susplugas, Cristiana Perrella: Larissa Sansour, Elena Giulia Rossi: Kathryn Cornelius

info: http://www.studiostefaniamiscetti.com/

di: Ludovica Palmieri

 

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STEINA E WOODY VASULKA | Noisefields | 1974 | 11′ 17″

Redazione videoPILLS | 23/10/2013

de il7 – Marco Settembre

Steina e Woody Vasulka (nata a Reykjavik, 1940; nato a Brno nel 1937) si sono formati rispettivamente come violinista classica e come ingegnere specializzato in produzione cinetelevisiva diplomato all’Acca-demia delle Arti dello Spettacolo e si sono incontrati nei primi anni ’60. Trasferitisi a New York nel 1965, sono stati tra i pionieri della videoarte, fondando lo studio The kitchen, nel 1971. Dopo l’arrivo in USA Woody firmò documentari indipendenti e curato diversi film industriali. Nel 1968 Woody condusse i suoi primi esperimenti con immagini realizzate grazie a dispositivi elettronici, accantonando la forma cinematografica in favore del video. Accusati fino a metà dei ‘70’s di trascurare l’aspetto sociale del mezzo, i Vasulka si sono specializzati in una sofisticata ricerca dell’interazione artistica tra media informatici ed elettronici ed altri stru-menti tecnici, alla ricerca della fenomenologia video e della malleabilità dell’immagine, e in generale di un controllo del rapporto arte-tecnologia, inventando diversi strumenti, dal sistema MIDI alle machine vision, dagli ibridi autonomi alle tavole interattive, fino al morphing. Attenti a sfruttare la cultura meta-industriale che è uno dei motori dello sviluppo USA, hanno proficuamente investito in ambito estetico la nozione che una frequenza elettromagnetica commutata in diversi modi può originare suoni o immagini oppure mostrare la linea di confine in risultati in cui l’audiovisivo è effettivamente una dimensione unitaria. Dal 1980 vivono e la-vorano a Santa Fe, New Mexico. Nel 2006 l’organizzazione VIVID di Birmingham ha commissionato la pub-blicazione del testo “Vasulka Lab 1969-2005”, con un ampio corredo di illustrazioni.

“Noisefields” Il violento flickering porta un disco bianco su fondo nero o il contrario a pulsare frene-ticamente passando attraverso diverse trasformazioni optical anche cromatiche in un rapporto figura-sfondo “inquinato” da texture di disturbo elettronico, accompagnate da analoghe alterazioni sonore: fruscii, crepitii, sibili e scoppiettii, sempre a ritmo elevatissimo. Il disco centrale sembra a tratti porsi come un globulo rosso o una pupilla sospesa tra esplosione ed implosione, un super-occhio o cine-pugno ejzensteiniano minimale con tutta la forza virale di un archetipo geometrico elettronicamente generato, puro segnale sul punto di farsi rigettare nel nostro mondo da un cyber-altrove brulicante di impulsi, ovvero da un mondo di disturbi antago-nisticamente opposto alla sfera delle “significanti” immagini dei media più allineati. “Il nostro lavoro è un dialogo tra l’utensile e l’immagine. Invece di rappresentarci un’immagine in uno spazio astratto per farne in seguito un modello cosciente e tentare di realizzarla, noi fabbrichiamo o adattiamo un utensile con il quale dialoghiamo”. In questo caso si assiste ad un bombardamento dell’occhio da parte di un altro occhio, una guerra dei mondi che rende drammaticamente esplicita, oltre alla forza formalista dell’audiovisivo speri-mentale, e del suo esoterismo tecnologico, forse anche il ruolo di schermo vivente che il nostro cervello, per tramite della retina, è chiamato a rivestire, bersaglio di messaggi-proiettile in genere subdolamente masche-rati da messaggi comunicativi più “piani”, ma in realtà, in barba alla tanto sbandierata interattività, pur sem-pre flussi unidirezionali passivizzanti.

il7 – Marco Settembre

va-sulka

 

 

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SALVATORE INSANA | Quattro domande

Redazione videoPILLS | 24/07/2013

de il7 – Marco Settembre

Nel percorso verso la realizzazione dell’opera, quanto ti sono utili le riflessioni di Gene Youngblood e di Gillez Deleuze e quanto invece pesa l’occasionalità dello spunto, il confronto con l’esperienza del reale?
Nelle mie ricerche video-artistiche spesso parto da un frammento di “reale”, da un materiale che attrae il mio sguardo per la sua ambiguità, per la sua inafferrabilità, per il suo lirismo nascosto: un travaglio mentale che parte dalla retina e passa a livello neuronale. Il discorso teoretico-critico viene sempre appena dopo e poi si fa anche abbastanza analitico, con la consapevolezza di agire sempre in aperta polemica con il presente (delle immagini, dell’immaginario, dei media – quello insomma con il quale entro più spesso in conflitto o in dialogo). E qui si fa spazio tanto il cinema espanso di Youngblood quanto l’immagine-tempo e il ripiegarsi della materia su sé stessa di Deleuze, entrambi ormai parte integrante della mia visione…

Ti pongo una domanda provocatoria: come si concilia l’antiautoritarismo con cui proponi immagini slegate da una logica preconfezionata e l’ambizione con cui tendi a rappresentare l’audelà?
L’audelà è ovviamente irrappresentabile, verrebbe da dire per fortuna. Non c’è ambizione ma solo tensione ideale ad andare oltre gli schemi e i linguaggi narrativi e interpretativi più convenzionali e privi di “illuminazioni”. Il tentativo è di superare soprattutto quella logica che soppianta l’interesse verso la forma attraverso un’attenzione e una cura spasmodica verso il contenuto.

Nel tuo blog si legge: “Sam ama chi prova a lanciarsi dentro un cerchio infuocato e non ci riesce”. Che rapporto imposti tra i testi tuoi o altrui e la tua ricerca filmico-teatrale? È un lavoro di adattamento o il riconoscimento di un disadattamento reci-proco tra codici diversi?
Non ci adatta mai, non lo si dovrebbe mai fare. Giudicarsi adatti potrebbe essere il principio della fine. La calma piatta della ricerca. I testi vengono disadattati semmai, rivisitati e traditi per onorarli, per glorificarne la loro vitalità. Niente istruzioni prescritte da altri. Quel che leggo si mescola, si scontra, si incontra con quel che scrivo. Poi prevale di solito la sovrascrittura, la moltiplicazione dei linguaggi, la sovrimpressione stratificata di suggestioni. Ancora sono nella fase di raccolta degli stimoli.
Quali sono gli autori (testuali e filmici) che più ti hanno influenzato e qual’è vice-versa, il segno che afferma la tua riconoscibilità?
I punti di ri-ferimento (prendendo il termine anche alla lettera…) sono tanti e centrifughi. In principio fu Ejzenstein e lo stimolo a trattare la materia visiva con l’estrema attenzione compositiva dell’analista che ha a cuore l’estasi. Poi arrivò John Cage, il suo rivoluzionario anti-autoritarismo, la lotta an-archica contro il pre-stabilito. La furia ostinata di Roberto Nanni. La visionarietà di Bokanowski. Il baratro visivo di Lynch. L’aldilà di Giorgio Manganelli. Carmelo Bene. L’eccentricità lirico-scientifica di Gianni Toti. L’esattezza leggera di Luigi Ghirri.
Come atteggiamento nei confronti del mondo invece, prevale la deriva iper-urbana, il conflitto insanabile, insaziabile con la società, quello di Debord, ma anche quello di Buster Keaton.

Per quanto riguarda l’auto-analisi ancora non penso di ri-conoscermi a sufficienza. Mi interessano i corpi in movimento nella loro inafferrabilità, nel loro metamorfico e tragico sfuggirci. Mi interessa indagare più a fondo sui limiti della visione, sugli “spettri visivi”. Gli inganni della luce, la sua ambiguità. E poi andare oltre lo specifico del digitale, che è ri-manipolazione del reale, realtà tanto aumentata da risultare infinitamente mistificata. La mia è innanzitutto una polemica contro “l’alta definizione”. Citando Jean Luc Godard: <<Si parla di alta definizione come se dire Definizione non fosse sufficiente. (…) La macchina da presa non è una certezza, è un dubbio>>.

 de il7 – Marco Settembre

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MAYA DEREN | At land | 1944 | 14′ 53″

Redazione videoPILLS | 04/07/2013

de il7 – Marco Settembre 

PARTE I

PARTE II

Maya Deren (Kiev, 1917 – New York, 1961) alias Eleanora Derenkovskaja, russa di origine ebraica nata poco prima della Rivoluzione d’Ottobre, emigrò con la famiglia negli Stati Uniti. Era stata battezzata col nome di Eleanora in onore della “divina” Duse, ma dopo l’anglicizzazione del cognome in Deren l’artista cambiò anche il nome in Maya, per riflettere il rapporto illusionistico indagato da Shopenhauer tra realtà e rappresentazione, ma anche alludere all’omonima dea indiana e alla madre del Buddha. Questo accadde dopo gli studi di scienze politiche, la laurea in Letteratura inglese e poesia simbolista, l’infatuazione per la danza con il relativo tour con la Katherine Dunham Dance Company, e l’inconro con il filmaker cecoslovacco Alexander Hammid a Los Angeles, con cui produsse il capolavoro Meshes of the afternoon. Il senso di sradicamento tipico degli immigrati, la ben assimilata “lezione” surreal-simbolista di Bunuel e Cocteau, i significati psicanalitici dovuti anche all’influenza del padre psichiatra, e la successiva fascinazione per lil Buddhismo e l’antropologia confluirono in un profilo di artista proto-femminista che realizzò “psicodrammi poetici” in cui lei stessa spesso è protagonista, ma in cui l’identità, la logica spazio-temporale, le convenzioni borghesi, le culture esotiche, grazie ad un montaggio tanto onirico quanto rit-mico, sottoponevano a uno spaesamento trascendente le convenzioni del realismo hollywoodiano. Collaborò con la scrittrice Anaïs Nin e l’artista Marcel Duchamp, e conobbe anche il compositore John Cage e l’antropologo Gregory Bateson. Nel 1986 è stato istituito il Maya Deren Award come incentivo e riconoscimento per il lavoro di filmakers contemporanei.

“At land” è il suo secondo film, realizzato nel 1944, sempre in 16mm. L’uso delle immagini è poetico, rifiuta una narrativa univoca e razionale; libera piuttosto le capacità simboliche e associative, crea suggestioni col flusso di energia creativa. Spazi anacronistici ed eterogenei sono collegati, nell’abile montaggio, dall’azione della protagonista, portata su una spiaggia da onde che – compiuta tale missione – sembrano ritirarsi. La ricerca meta-dimensionale della inquieta donna sembra essere un viaggio extracorporeo, che tuttavia non esclude la fisicità dell’arrampicata sul tronco di legno, la quale sfocia magicamente sul lungo tavolo su cui si svolge una cena, e su cui di nuovo faticosamente la Deren avanza strisciando tra l’indifferenza dei com-mensali, simbolo delle formali miopie borghesi. La partita a scacchi è una chiara citazione di Man Ray, ma la ricerca del pedone ruzzolato sul tronco, e poi tra le rocce in cui scorre il fiume fino alle cascate è il portato, pur espresso con grazia femminile, di un’ansia e di una instabilità legate al latente statuto ontologico delle cose, ma forse anche alla lotta solitaria che ogni artista compie nel cercare di dar corpo e senso alla propria visione. Al culmine di un percorso erratico, la Deren con astuzia recupera il pedone e si allontana lungo la spiaggia da cui era partita, lasciandosi dietro le altre sè stesse.

 

il7 – Marco Settembre

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SALVATORE INSANA | Fill up the space | 2012 | 4’10″

Redazione videoPILLS | 25/06/2013

de il7 – Marco Settembre

Salvatore Insana (Oppido Mamertina (RC), 1984), laureato con lode al DAMS nel 2010 con una tesi sul concetto di inutile, con coerenza esemplare ha dato centralità all’idea dell’indipendenza dell’Arte dalle con-venzioni e dalle funzioni supposte necessarie dall’economia delle attività umane. Fuori dalla logica del profit-to ma teso a ripercorrere e ricombinare le linee direttrici dei tanti maestri incontrati di persona o nelle pagine di testi fondamentali, Insana procede senza limitazioni valorizzando ogni elemento della sua ricerca. È quindi senza timore di dispersione che si impegna sia sul versante critico (recensendo l’opera altrui su siti come Taxi Drivers, MArte Magazine e Zero), sia sul piano della scrittura (speculando liberamente su tutto con gra-zia e profondità sul suo blog workinregress), sia nella produzione visiva multimediale (fotografia, videoarte, videoteatro fondando la compagnia Dehors/Audelà fondata nel 2011 con Elisa Turco Liveri, attrice e perfor-mer, e collaborando assiduamente con il MetaTeatro di Pippo Di Marca).
“Fill up the space” appare piuttosto paradigmatico rispetto alla poetica del suo autore, esibendo l’attenzio-ne agli aspetti fuggevoli, casuali, fantasmatici eppure rivelatori delle cose e soprattutto del passaggio uma-no sulla terra, in un lavoro notevole al tempo stesso per il suo appeal squisitamente estetico. La opalescente fluidità in cui sembrano sciogliersi sinapsi neuronali è in realtà la coordinazione “costruita” dei movimenti di un gruppo di danzatori che provano una coreografia, ma poi diventa il malinconico ed ipnotico flusso “alieno” di figure che si fondono l’una nell’altra come macchie di Rorshack di una psichedelìa rivista e corretta in chiave algida ed elettrochimica nella suggestione, quasi a voler alludere allo sciamare disumanizzato di nuo-ve genìe di uomini della modernità liquida (Bauman) e oltre, un’invasione di post-umani larvali, programmati appositamente per farsi ombre da custodire in memorie digitali. Più radicalmente, il video si pone come e-semplificazione “sintetica” in tutti i sensi, di un’occupazione virale dello spazio da parte di forme e suoni (questi ultimi sono ambient e noise insieme), una speculazione astratta e molto elegante che prescinde dalla materialità e dall’individualità delle entità, così come pone al bando ogni forma di narrazione in favore della pura elaborazione audiovisiva.

il7 – Marco Settembre

 

 

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