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PETER TSCHERKASSKY | Outer space | 1999 | 9’58″

Redazione videoPILLS | 19/03/2013

de il7 – Marco Settembre

Peter Tscherkassky (Vienna, 1958). Dalla fine degli anni ’70 ha fornito nuovi impulsi al rapporto immagine-suono, risultando un regista pilastro del cinema d’avanguardia austriaco, in quanto sperimentatore di tecniche, linguaggi e possibilità espressive, specialista del found footage ma anche autore di testi critici, direttore a Graz del festival www.diagonale.at, fondatore della Sixpackfilm, e vincitore nel 2010, alla 67ima Mostra del Cinema di Ve-nezia, sezione Nuovi Orizzonti, con “Coming Attractions”. La prassi artistica di Tscherkassky, ostinatamente analogica, mostra, al confronto con l’attuale must digitale, la complessità multistratificata di campi, controcampi, illuminazioni e tecniche di montaggio che solo il lavo-ro paziente e certosino su Super8 e pellicola è in grado di assicurare all’elaborato.

“Outer space” è la trasposizione di un film horror, Entity di Sidney J. Furie, nell’indefinito percettivo di un incubo in cui l’apparato cinematografico e l’eroina protagonista, Barbara Hershey, vengono scossi in un as-salto sussultorio alla continuità filmica, alla certezza dei fotogrammi. L’instabile assedia una casa notturna, luci misteriose appaiono nel buio e altrettanto velocemente vi risprofondano, mentre la donna si muove ver-so l’edificio e vi entra. Il resto sono giochi al coperto, distorsioni ed inceppi del montaggio, una rivolta resa più tesa da un sonoro graffiante ma anche represso, soffocato. Il found footage hollywoodiano vive il suo se-greto tormento interiore, e la donna lotta contro gli spettri della sostanza filmica, sembra soccombere, come intrappolata per sempre in una bobina difettosa che è ormai la sua dimensione ontologica, ma contrattacca, riemerge nel delirio di specchi innestato tra i frames distorti ad incastro. La matericità della pellicola, con i margini dell’immagine, le perforazioni vuote, ma anche la colonna sonora, sembrano voler pervertire quella che comunque già è una realtà “ulteriore”. Gli studi psicologici e filosofici spingono Tscherkassky a concepire le sue opere per un pubblico che si lasci affascinare dall’emozione in se, ma che, sollecitato, si ponga anche quesiti sull’emozione stessa, nonchè conseguenti riflessioni sul rapporto tra percezione e comprensione.

a cura di il7 – Marco Settembre

 

 

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67ima Mostra del Cinema di Ve-nezia, Barbara Hershey, cinema sperimentale, diagonale, Entity di Sidney J. Furie, FestArte, festarte videoart festival, Outer space, Peter Tscherkassky, Sixpackfilm, videoart, videoarte

MARTHA ROSLER | Semiothic of the kitchen | 1975 | 6’ 09’’

Daniela Voso | 06/03/2012

L’artista americana Martha Rosler ( Brooklin, NY, 1943) è sulla scena internazionale dagli anni settanta e lavora con diversi media come installazioni, scultura, fotografia e video. Dalla guerra, alla sfera quotidiana, a quella pubblica, osserva l’attualità nei suoi diversi aspetti, e recupera spesso la tematica del ruolo femminile nella società.
Così in Semiothic of the Kitchen, Martha Rosler evidenzia la dimensione del rapporto tra sfera pubblica e privata. L’indagine analitica sul comportamento standardizzato del focolare domestico, quasi esclusivo della figura femminile, è una critica ironica alle convenzioni e alle costrizioni della società sul corpo e sulle abitudini. Nel video l’artista indossa un grembiule da lavoro e si trova in una cucina. Come in un video didattico scandisce le sue azioni con scritte su una lavagna. Ricalca così il linguaggio della televisione, mezzo d’indottrinamento sociale, e al tempo stesso ne fa un dispositivo di resistenza ad un’immagine imposta.

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art video, arte, daniela voso, donne, martha rosler, semiothic of the kitchen, settanta, video, videoart

ADEL ABIDIN | Three Love Songs | 2010 | tre video | 8’48”

Daniela Voso | 03/02/2012

courtesy the artist

Adel Abidin ( Baghdad, Iraq, 1973) lavora con il video, la fotografia, l’installazione e vive ad Helsinki (Finlandia).

Sulla scena internazionale dai primi anni del duemila, Abidin ha esposto a tutte le latitudini senza mancare appuntamenti come la Biennale di Sharjah (2011) e finalmente la 54° Veneziana (2011) dove ha rappresentato il Padiglione Iraqueno (per la prima volta presente nella kermesse lagunare dal 1976) con Ping Pong (2009), un video che vede due giocatori contendersi la vittoria su un tavolo diviso da una  donna sdraiata che riceve i colpi sulla pelle nuda, al  posto della canonica rete, metafora delle conseguenze di politiche conflittuali. Le tematiche di attualità, la politica internazionale, le relazioni sociali, il dialogo tra i popoli, gli stereotipi e il confronto tra culture distanti, sono alcune conduttrici del lavoro di Adel Abidin, che l’artista trasforma in metafore efficaci della condizione umana, dal particolare all’universale.

Three love songs è un’opera del 2010 che si compone di tre video proiettati contemporaneamente. Un trittico che ritrae contesti occidentali ben precisi – uno anni cinquanta, uno jazz e uno pop – in cui donne avvenenti interpretano, senza saperlo, canzoni celebrative commissionate da Saddam Hussein durante il regime per esaltare la sua figura e consolidare i consensi. Adel Abidin afferma di voler riflettere su due leve estreme del sentimento umano: l’amore e il terrore, e su come queste siano usate dal potere per governare.

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CINDY SHERMAN | Doll Clothes | 1975 | 2’22”

Daniela Voso | 23/12/2011

Cindy Sherman ( New Jersey, 1954) è una delle artiste concettuali più note a livello internazionale. La fotografia è il suo mezzo prediletto, che usa guardando al cinema.

Subisce il fascino di artiste come Hannah Wilke e studia insieme a Robert Longo; risolve quindi in chiave concettuale l’avanguardia femminista americana degli anni Settanta. Le tematiche ricorrenti del suo lavoro sono il ruolo e la rappresentazione della donna nella società, che interpreta ogni volta trasformando la sua stessa immagine e moltiplicandola con travestimenti veri e propri in set ricostruiti, dove lei stessa è autrice, scenografa, regista, fotografa, costumista, truccatrice, hairstylist.

Doll Clothes è un film girato in 16 mm durante gli anni del College (1975).  È la storia di una bambola di carta impersonata dall’artista, che prende consapevolezza di sé attraverso varie fasi: si vede nuda, esce dall’involucro che la racchiude, si sceglie un abito, lo indossa, si specchia. Nel momento principale mentre apprezza la sua immagine, una mano esterna e sorda alle sue proteste, la ripone nella scatola. La Sherman ha affermato che la mano corrisponde al giudizio dei genitori sui figli, ma la metafora si può serenamente estendere ai clichè della società contemporanea. Qui sono presenti i cardini dei successivi sviluppi del lavoro dell’artista americana.

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ERICAILCANE | Le corbeau | 2004 | 1’34”

Daniela Voso | 11/11/2011


Ericailcane viene dalla scena della street-art italiana. Diffusi in Italia e all’estero, i suoi sono interventi di grandi dimensioni. Ha partecipato a numerosi contest e manifestazioni, tra gli ultimi il Fame Festival di Grottaglie.

Dal murales, al video, ai disegni, alle installazioni, il suo lavoro rimanda a un immaginario popolato da animali antropomorfi. Questi personaggi si muovono, camminano e si vestono come uomini contemporanei o d’altri tempi e ricordano le illustrazioni di vecchie fiabe, eppure hanno una connotazione decisamente reale. I video di Ericailcane sono sopratutto animazioni in stop-motion con pets e disegni. Il meccanismo dello scorrere dei fogli viene svelato in alcuni casi, come ne “Il numero delle bestie” (2009) dove diventa parte della costruzione dell’immagine. Nel 2010 è stato selezionato nella sezione di animazione di Cinema Off a Venezia. Ericailcane ha collaborato con altri artisti della scena street tra cui Blu e Hitnes.

Le corbeau è un video del 2004, realizzato in stop-motion. Privo di una esplicita logica narrativa, è una sequenza lineare di disegni, animali e oggetti, che si muovono concatenati. Versione lineare e semplificata di una macchina di Rube Goldberg. Il video è musicato da LUM.

Video: Courtesy of the artist

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BLU | MUTO a wall painted animation | 2008 |7′ 26”

Daniela Voso | 07/10/2011

Courtesy the artist

BLU (Bologna) è tra gli street-artists italiani più noti a livello internazionale. Nel 2008 interviene sulla facciata esterna della Tate Modern di Londra, nel progetto StreetArt.

BLU usa la città, gli edifici e le loro caratteristiche come parte integrante del suo lavoro e li trasforma nell’estensione del suo immaginario. Dal 2000, affianca ai wall painted un’ampia produzione video: animazioni che sconfinano dal foglio alla realtà. Il tratto, sapientemente grezzo, si ispira ai fumetti underground ed è bilanciato da un’estrema accuratezza e coscienza dello spazio. Ricorrente è il tema della vita, affrontata con distacco e cruda ironia dall’era primordiale a quella tecnologica; senza sconti all’uomo e alla sua avidità. Dal Forte Prenestino, storico centro sociale di Roma, alla Tate Modern di Londra, i suoi wall su larga scala sono in tutta Europa e nelle Americhe. Nei suoi video, si contano collaborazioni con artisti come David Ellis e Ericailcane.

Muto è un lavoro che chiama in causa diversi linguaggi e porta la street-art nell’animazione. Come Kentridge, BLU costruisce il movimento disegnando sulla stessa superficie. In questo video crea percorsi e illogiche metamorfosi, tra figure antropomorfe, biomeccaniche e animali, in un viaggio tra spazi aperti e luoghi angusti occupati per intero, fino ad usare gli oggetti, chiamando in causa lo stop-motion. Il video è stato realizzato tra Buenos Aires e Baden e le musiche sono di Andrea Martignoni. Prodotto dalla Mercurio Film.

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WILLIAM KENTRIDGE | Stereoscope | 1999 | 8′ 22”

Daniela Voso | 08/09/2011

courtesy Galleria Lia Rumma Milano/Napoli

William Kentridge (Johannesburg 1955) ha esordito nel 1979, approdando al video nel 1989. Ha esposto nelle maggiori manifestazioni e istituzioni mondiali, ed è uno degli artisti più noti nel panorama internazionale.

Artista eclettico, sempre riconoscibile per la materialità del tratto e del disegno, Kentridge elabora visivamente gli elementi della sua formazione, avendo studiato, oltre che all’Accademia, Scienze Politiche, Storia del Sudafrica, Teatro e le Arti del Mimo. Questi tratti diventano gli ingredienti delle sue opere: visioni evocative e paradossali che rimandano a tematiche intime e sociali. La tensione al movimento e il segno forte del tratto sono caratteristiche nella sua ampia ed eterogenea produzione artistica che dall’incisione, al video, all’arazzo, attraversa i diversi linguaggi dell’immagine.

I suoi video sono esperimenti sull’animazione che varcano i limiti del disegno, fino ad utilizzare i corpi, le ombre e gli effetti ottici.

Steroscope (1999) è un video di animazione tra i più emblematici. Interpreta il rapporto tra potere, comunicazione, distinzioni sociali e conflitti. Una musica incalzante (Philip Miller, 1999) e i soli rumori della carta e del vociare sottolineano il silenzio di scena.

Presentato anche a Venezia (48 Biennale) nel 1999, Steroscope è un esempio della particolare tecnica usata da Kentridge, che lavora sullo stesso foglio –come su una quinta teatrale- per cui il tratto è ripetutamente disegnato e rimosso, mantenendo la traccia delle cancellature e del movimento.

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SHIRIN NESHAT | Turbulent | 1998 | 9’08”

Elena Abbiatici | 16/07/2011

Una video installazione a doppio schermo, quella di Shirin Neshat, videoartista e filmmaker originaria dell’Iran e residente a New York, fra le punte di diamante della contemporaneità artistica. Profonda indagatrice del ruolo sociale, politico e psicologico della donna musulmana, in Turbulent (1998) seduce creando – attraverso uno spaccato di antica musica e poesia persiana – un raffronto visivo e sonoro fra due cantanti (Shoja Azari a sinistra e la compositrice e vocalista iraniana Sussan Deyhim a destra) che diviene metafora dei ruoli di genere e della gestione del potere culturale nella società islamica contemporanea. Accade così che il primo intoni un canto delicato e musicalmente poetico, ricevendo il plauso di un pubblico composto, interessato, gratificante e la cantante si faccia espressione di una interiorità sofferente ed estenuata, d’un dramma evidente, davanti ad una platea deserta. Shirin Neshat, da sempre, tramite la sua arte si fa portavoce ed eco di diritti e riconoscimenti cui le donne di molti paesi arabi non intendono più rinunciare, fra cui recentemente il divieto di guida, sfidato dalle molte donne saudite postesi al volante. E la rivendicazione continua.

see also about Shirin Neshat on
https://www.artsy.net/artist/shirin-neshat

 

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Elena Abbiatici, International Videoart Festival, iran, New York, Shirin Neshat, Shoja Azari, Sussan Deyhim, Turbolent, video art, video arte, videoart, videoart festival, videoarte

Shaun Gladwell | Storm Sequence | 2000

Micol Di Veroli | 06/11/2010

Shaun Gladwell (Sydney, Australia, 1972) è forse uno dei pochi giovani artisti in grado di pescare direttamente dall’immaginario collettivo contemporaneo, attuando una vera e propria mitopoiesi. L’artista attraverso i suoi video, le sue performance e le sue installazioni, filtra l’idea creativa attraverso le sue esperienze personali miste ad elementi propri della cultura cinematografica, non disdegnando di toccare i miti ed i simboli cari alla cultura street giovanile.

Nel 2007 Gladwell partecipa alla Biennale di Venezia con Storm Sequence (2000), un video che mostra uno skater intento a compiere le sue evoluzioni mentre sullo sfondo infuria la tempesta. L’azione è in slow motion e tramite tale procedimento è possibile ammirare le funamboliche evoluzioni dell’uomo sulla sua tavola e cogliere la perfezione del corpo umano in movimento. Con Storm Sequence Gladwell riesce a portare una ventata di anarchia artistica all’interno della Biennale, mettendo in mostra un video legato alla  sottocultura e non alla cultura “alta”.

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Douglas Gordon | Zidane | A 21st Century Portrait | 2006 | 7’25”

Micol Di Veroli | 21/06/2010

Douglas Gordon (Glasgow, Scozia, 1966) ha vinto il Turner Prize nel 1996 e successivamente ha rappresentato la Gran Bretagna alla Biennale di Venezia del 1997. Il filo conduttore della visione creativa dell’artista è la costante ripetizione di tematiche e soggetti, oltre ad un rapporto particolare con la memoria. Nel corso della sua carriera, Gordon ha in più riprese stravolto gli schemi della video arte, giocando con le linee temporali come nell’opera 24 Hour Psycho del 1993 dove l’artista rallentò il celebre film Psycho di Alfred Hitchcock sino a fargli toccare le 24 ore di proiezione.

Il presente video dal titolo Zidane, A 21st Century Portrait è una sorta di documentario focalizzato unicamente sulla figura del calciatore Zinedine Zidane. 90 minuti in cui Gordon porta all’interno del contemporaneo il concetto storico di ritratto accentuando l’eroismo della figura principale che diviene così una sorta di personaggio mitologico.

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24 hour psycho, A 21st Century Portrait, Douglas Gordon, video arte, Zidane
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