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JONAS MEKAS | The song of central park | 1966 | 4’24”

Daniela Voso | 20/03/2012

Jonas Mekas (Lituania, 1922), poeta e film-maker, vive a New York dove si è trasferito nel 1949 con il fratello. Protagonista dell’avanguardia newyorchese del Greenwich Village, si è distinto in Europa e in America, prendendo parte a festival del film e manifestazioni artistiche.

In bilico tra arte e cinema, i suoi video documentano protagonisti e momenti salienti della scena newyorchese – da Andy Warhol a George Maciunas, dalla prima esibizione dei Velvet Underground a Bed-in for Peace di Yoko-Ono e John Lennon, da Salvador Dalì ad Allen Ginsberg – integrando l’approccio poetico al documentario, in un affiancarsi di immagini, privo di una struttura narrativa convenzionale.

Girato il 16 gennaio 1966 , The song of Central Park è un breve video, che ritrae New York nel vivere quotidiano delle persone, dalla corsa nel parco alla pattinata sul ghiaccio, per poi chiudersi sulla città. In sottofondo la voce di Mekas espone la sua idea di cinema, scandita dal suono dei tasti di una macchina da scrivere: “That’s what cinema is…single frames, frames.”

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16 gennaio, 1966, alen ginsberg, art, art video, arte, bed-in for peace, daniela voso, film maker, George maciunas, greenwich village, John Lennon, jonas mekas, New York, video, video arte, videopills, Yoko Ono

MARTHA ROSLER | Semiothic of the kitchen | 1975 | 6’ 09’’

Daniela Voso | 06/03/2012

L’artista americana Martha Rosler ( Brooklin, NY, 1943) è sulla scena internazionale dagli anni settanta e lavora con diversi media come installazioni, scultura, fotografia e video. Dalla guerra, alla sfera quotidiana, a quella pubblica, osserva l’attualità nei suoi diversi aspetti, e recupera spesso la tematica del ruolo femminile nella società.
Così in Semiothic of the Kitchen, Martha Rosler evidenzia la dimensione del rapporto tra sfera pubblica e privata. L’indagine analitica sul comportamento standardizzato del focolare domestico, quasi esclusivo della figura femminile, è una critica ironica alle convenzioni e alle costrizioni della società sul corpo e sulle abitudini. Nel video l’artista indossa un grembiule da lavoro e si trova in una cucina. Come in un video didattico scandisce le sue azioni con scritte su una lavagna. Ricalca così il linguaggio della televisione, mezzo d’indottrinamento sociale, e al tempo stesso ne fa un dispositivo di resistenza ad un’immagine imposta.

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art video, arte, daniela voso, donne, martha rosler, semiothic of the kitchen, settanta, video, videoart

CHRIS MARKER | La Jetée |1962 | 28′

Daniela Voso | 20/02/2012


Christian François Bouche-Villeneuve (Neuilly-sur-Seine, 29 luglio 1921) è meglio noto come Chris Marker. Regista, sceneggiatore, montatore, direttore della fotografia, produttore cinematografico e fotografo francese. Vicino al movimento della Nouvelle Vague francese, per le tematiche, lo stile e il carattere di rottura con il passato delle sue opere, Marker esordì negli anni cinquanta.
La Jetée è il cortometraggio del 1962, che gli diede fama internazionale, tappa importante della narrazione audiovisiva. I tratti salienti dell’opera risiedono nella trama fantascientifica e nella tecnica. Una successione di immagini fotografiche fisse (diaporama) sono accompagnate da una voce fuori campo. L’ambientazione post-atomica (il 1962 è l’anno della Crisi dei missili a Cuba) in un ambiente sotterraneo, si alterna alle visioni di un passato ameno. Nei sotterranei: scienziati conducono ricerche sul viaggio nel tempo e sulla mente dei prigionieri e la successione lineare del tempo viene scardinata dalla stessa narrazione filmica, ed é scandita dalla ricorrente immagine di una donna misteriosa e dei ricordi di un uomo, punto d’incontro tra passato e presente. La trama si apre e si conclude nel medesimo istante spazio-temporale: il molo di partenza dell’aeroporto di Orly a Parigi. Da qui il titolo: La Jetée. L’uso della fotografia al posto dell’immagine in movimento, si allinea con la percezione comune dei ricordi. Nel film ‘L’esercito delle dodici scimmie’ (1995) Terry Gilliam si è ispirato a La Jetée.

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ADEL ABIDIN | Three Love Songs | 2010 | tre video | 8’48”

Daniela Voso | 03/02/2012

courtesy the artist

Adel Abidin ( Baghdad, Iraq, 1973) lavora con il video, la fotografia, l’installazione e vive ad Helsinki (Finlandia).

Sulla scena internazionale dai primi anni del duemila, Abidin ha esposto a tutte le latitudini senza mancare appuntamenti come la Biennale di Sharjah (2011) e finalmente la 54° Veneziana (2011) dove ha rappresentato il Padiglione Iraqueno (per la prima volta presente nella kermesse lagunare dal 1976) con Ping Pong (2009), un video che vede due giocatori contendersi la vittoria su un tavolo diviso da una  donna sdraiata che riceve i colpi sulla pelle nuda, al  posto della canonica rete, metafora delle conseguenze di politiche conflittuali. Le tematiche di attualità, la politica internazionale, le relazioni sociali, il dialogo tra i popoli, gli stereotipi e il confronto tra culture distanti, sono alcune conduttrici del lavoro di Adel Abidin, che l’artista trasforma in metafore efficaci della condizione umana, dal particolare all’universale.

Three love songs è un’opera del 2010 che si compone di tre video proiettati contemporaneamente. Un trittico che ritrae contesti occidentali ben precisi – uno anni cinquanta, uno jazz e uno pop – in cui donne avvenenti interpretano, senza saperlo, canzoni celebrative commissionate da Saddam Hussein durante il regime per esaltare la sua figura e consolidare i consensi. Adel Abidin afferma di voler riflettere su due leve estreme del sentimento umano: l’amore e il terrore, e su come queste siano usate dal potere per governare.

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LUIS BUNUEL – SALVADOR DALI’ | Un Chien Andalou | 1929 | 16’

Daniela Voso | 16/01/2012

Luis Buñuel (1900 – 1983) e Salvador Dalì (1904 – 1989) furono artisti surrealisti, regista il primo e pittore il secondo, realizzarono insieme i film Un chien Andalou (1928) e l’Age d’or (1930).

“E se da due sogni ne ricavassimo un film?” Buñuel riassunse in questa frase l’intuizione di Salvador Dalì di realizzare un film surrealista, romanzando la genesi di Un Chien Andalou nella sua autobiografia Mon dernier soupir, dove attribuì a sé stesso l’idea del taglio sull’occhio e all’amico quella delle formiche sulla mano. In verità la nascita e l’attribuzione dei meriti in entrambe le collaborazioni tra i due surrealisti spagnoli sono ambigue e non sempre corrispondono nei racconti degli stessi artisti, nelle lettere e nei documenti.

Un Chien Andalou (datato da alcuni al 1928) è considerato uno dei film di più emblematici del movimento Surrealista, caratterizzato da un montaggio non convenzionale e da una sceneggiatura illogica e irrazionale. Buñuel e Dalì usarono liberamente la grammatica cinematografica sconvolgendo le aspettative e creando associazioni inconsuete, come in un procedimento di scrittura automatica o in un sogno. Nel linguaggio, nei contenuti e nella simbologia di Un Chien Andalou c’è l’attacco ad una cultura borghese, ma nonostante alcune proteste l’uscita del film fu un successo.

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CINDY SHERMAN | Doll Clothes | 1975 | 2’22”

Daniela Voso | 23/12/2011

Cindy Sherman ( New Jersey, 1954) è una delle artiste concettuali più note a livello internazionale. La fotografia è il suo mezzo prediletto, che usa guardando al cinema.

Subisce il fascino di artiste come Hannah Wilke e studia insieme a Robert Longo; risolve quindi in chiave concettuale l’avanguardia femminista americana degli anni Settanta. Le tematiche ricorrenti del suo lavoro sono il ruolo e la rappresentazione della donna nella società, che interpreta ogni volta trasformando la sua stessa immagine e moltiplicandola con travestimenti veri e propri in set ricostruiti, dove lei stessa è autrice, scenografa, regista, fotografa, costumista, truccatrice, hairstylist.

Doll Clothes è un film girato in 16 mm durante gli anni del College (1975).  È la storia di una bambola di carta impersonata dall’artista, che prende consapevolezza di sé attraverso varie fasi: si vede nuda, esce dall’involucro che la racchiude, si sceglie un abito, lo indossa, si specchia. Nel momento principale mentre apprezza la sua immagine, una mano esterna e sorda alle sue proteste, la ripone nella scatola. La Sherman ha affermato che la mano corrisponde al giudizio dei genitori sui figli, ma la metafora si può serenamente estendere ai clichè della società contemporanea. Qui sono presenti i cardini dei successivi sviluppi del lavoro dell’artista americana.

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ERICAILCANE | Le corbeau | 2004 | 1’34”

Daniela Voso | 11/11/2011


Ericailcane viene dalla scena della street-art italiana. Diffusi in Italia e all’estero, i suoi sono interventi di grandi dimensioni. Ha partecipato a numerosi contest e manifestazioni, tra gli ultimi il Fame Festival di Grottaglie.

Dal murales, al video, ai disegni, alle installazioni, il suo lavoro rimanda a un immaginario popolato da animali antropomorfi. Questi personaggi si muovono, camminano e si vestono come uomini contemporanei o d’altri tempi e ricordano le illustrazioni di vecchie fiabe, eppure hanno una connotazione decisamente reale. I video di Ericailcane sono sopratutto animazioni in stop-motion con pets e disegni. Il meccanismo dello scorrere dei fogli viene svelato in alcuni casi, come ne “Il numero delle bestie” (2009) dove diventa parte della costruzione dell’immagine. Nel 2010 è stato selezionato nella sezione di animazione di Cinema Off a Venezia. Ericailcane ha collaborato con altri artisti della scena street tra cui Blu e Hitnes.

Le corbeau è un video del 2004, realizzato in stop-motion. Privo di una esplicita logica narrativa, è una sequenza lineare di disegni, animali e oggetti, che si muovono concatenati. Versione lineare e semplificata di una macchina di Rube Goldberg. Il video è musicato da LUM.

Video: Courtesy of the artist

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WILLIAM KENTRIDGE | Quattro domande | Four questions

Daniela Voso | 07/11/2011

ITA / ENG (scroll down)

Qual è il suo processo di creazione? Parte da un’immagine o da un’idea? O da altro?

L’immagine o l’idea emergono in corso d’opera. È attraverso il processo creativo che si svela chi sono o che cosa è il mondo. Prima viene il fare poi le idee, non è mai il contrario.

L’interdisciplinarietà è un elemento fondamentale dei suoi video? Se sì, in che modo e quali sono le discipline a cui fa riferimento?

In un certo senso, intendo tutto il mio lavoro, dai film al teatro, dalle incisioni alle sculture, come un’estensione del disegno.

Ci sono artisti, videomaker o registi del passato che l’hanno influenzata o suoi contemporanei che sente vicino alla sua ricerca?

Dziga Vertov, Goya, Rembrandt, Daumier, Manet, Velasquez, Philip Guston.

Cosa ha determinato la sua scelta di lavorare, tra gli altri, anche con il mezzo video?

La provvisorietà del mezzo. Le possibilità di lavorare sulla narrazione e la trasformazione.

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1. Which is your creation process? Do you start from an image or an idea? Or  from something else?

It is a process of finding the image or idea through making the work, discovering who I am or what the world is through the process of making work. The making comes first, ideas after, never the other way round.

2. Is the multi-disciplinary approach an essential element in your video? If yes, what are the artistic disciplines that you refer to?

I think of all my work, whether film, theatre, printmaking, sculpture as in some sense expanded drawing.

3. Which artists, videomakers, film directors of the past, have influenced your research and which is the contemporary ones that you feel closer to you?

Dziga Vertov, Goya, Rembrandt, Daumier, Manet, Velázquez, Philip Guston.

6. Why, between  others languages, did you choose to use also the video?

Provisionality of the medium. The possibilities for narrative and transformation.

Image credits: William Kentridge, Stereoscope, 1999, 8’22″, still video

Guarda il video di William Kentridge su LEGEND

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JOSEPH BEUYS | Filz TV | 1970 | 10’

Daniela Voso | 21/10/2011

Joseph Beuys (Krefeld, 1921 – Düsseldorf ,1986) si afferma nei primi anni Sessanta ed è tra gli artisti più significativi del xx sec. Personaggio atipico, fu vicino al movimento Fluxus, ma la sua ricerca non si può inquadrare all’interno di nessuna corrente definita.

Performances, installazioni e progetti a lungo termine diedero forma ad un’ampia vicenda artistica, somma della sua biografia, dell’influenza delle teorie steineriane per l’approccio demiurgico, e del movimento Fluxus per il linguaggio e la radicalità. Beuys si affermò nei primi anni sessanta e utilizzò un vero e proprio lessico costruito su elementi ricorrenti, tra cui il feltro e la cera, a cui attribuì valenze curative, metaforicamente traslate sul piano sociale a fronte di una cultura e di un sistema in crisi. Fine dell’arte non era lo shock, ma il cambiamento nelle coscienze. Tematiche ricorrenti: solidarietà sociale e ambientale, relazioni politiche e crisi della cultura europea.

Filz TV è un video del 1970, realizzato per “Identification” la mostra collettiva dedicata alla registrazione video di “azioni” artistiche e organizzata dalla Fernseh Galerie di Gery Schum a Düsseldorf. Il video è diviso in due momenti. Nel primo l’artista cerca un dialogo con una televisione che ha lo schermo coperto da feltro (filz), prima prendendosi a pugni e poi provando a nutrire l’elettrodomestico con una salsiccia. Invano. Nel secondo momento la televisione resta sola al centro dell’immagine, mentre in sottofondo continuano a sentirsi le musiche e le voci delle trasmissioni.

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BLU | MUTO a wall painted animation | 2008 |7′ 26”

Daniela Voso | 07/10/2011

Courtesy the artist

BLU (Bologna) è tra gli street-artists italiani più noti a livello internazionale. Nel 2008 interviene sulla facciata esterna della Tate Modern di Londra, nel progetto StreetArt.

BLU usa la città, gli edifici e le loro caratteristiche come parte integrante del suo lavoro e li trasforma nell’estensione del suo immaginario. Dal 2000, affianca ai wall painted un’ampia produzione video: animazioni che sconfinano dal foglio alla realtà. Il tratto, sapientemente grezzo, si ispira ai fumetti underground ed è bilanciato da un’estrema accuratezza e coscienza dello spazio. Ricorrente è il tema della vita, affrontata con distacco e cruda ironia dall’era primordiale a quella tecnologica; senza sconti all’uomo e alla sua avidità. Dal Forte Prenestino, storico centro sociale di Roma, alla Tate Modern di Londra, i suoi wall su larga scala sono in tutta Europa e nelle Americhe. Nei suoi video, si contano collaborazioni con artisti come David Ellis e Ericailcane.

Muto è un lavoro che chiama in causa diversi linguaggi e porta la street-art nell’animazione. Come Kentridge, BLU costruisce il movimento disegnando sulla stessa superficie. In questo video crea percorsi e illogiche metamorfosi, tra figure antropomorfe, biomeccaniche e animali, in un viaggio tra spazi aperti e luoghi angusti occupati per intero, fino ad usare gli oggetti, chiamando in causa lo stop-motion. Il video è stato realizzato tra Buenos Aires e Baden e le musiche sono di Andrea Martignoni. Prodotto dalla Mercurio Film.

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