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MARTHA ROSLER | Semiothic of the kitchen | 1975 | 6’ 09’’

Daniela Voso | 06/03/2012

L’artista americana Martha Rosler ( Brooklin, NY, 1943) è sulla scena internazionale dagli anni settanta e lavora con diversi media come installazioni, scultura, fotografia e video. Dalla guerra, alla sfera quotidiana, a quella pubblica, osserva l’attualità nei suoi diversi aspetti, e recupera spesso la tematica del ruolo femminile nella società.
Così in Semiothic of the Kitchen, Martha Rosler evidenzia la dimensione del rapporto tra sfera pubblica e privata. L’indagine analitica sul comportamento standardizzato del focolare domestico, quasi esclusivo della figura femminile, è una critica ironica alle convenzioni e alle costrizioni della società sul corpo e sulle abitudini. Nel video l’artista indossa un grembiule da lavoro e si trova in una cucina. Come in un video didattico scandisce le sue azioni con scritte su una lavagna. Ricalca così il linguaggio della televisione, mezzo d’indottrinamento sociale, e al tempo stesso ne fa un dispositivo di resistenza ad un’immagine imposta.

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CHRIS MARKER | La Jetée |1962 | 28′

Daniela Voso | 20/02/2012


Christian François Bouche-Villeneuve (Neuilly-sur-Seine, 29 luglio 1921) è meglio noto come Chris Marker. Regista, sceneggiatore, montatore, direttore della fotografia, produttore cinematografico e fotografo francese. Vicino al movimento della Nouvelle Vague francese, per le tematiche, lo stile e il carattere di rottura con il passato delle sue opere, Marker esordì negli anni cinquanta.
La Jetée è il cortometraggio del 1962, che gli diede fama internazionale, tappa importante della narrazione audiovisiva. I tratti salienti dell’opera risiedono nella trama fantascientifica e nella tecnica. Una successione di immagini fotografiche fisse (diaporama) sono accompagnate da una voce fuori campo. L’ambientazione post-atomica (il 1962 è l’anno della Crisi dei missili a Cuba) in un ambiente sotterraneo, si alterna alle visioni di un passato ameno. Nei sotterranei: scienziati conducono ricerche sul viaggio nel tempo e sulla mente dei prigionieri e la successione lineare del tempo viene scardinata dalla stessa narrazione filmica, ed é scandita dalla ricorrente immagine di una donna misteriosa e dei ricordi di un uomo, punto d’incontro tra passato e presente. La trama si apre e si conclude nel medesimo istante spazio-temporale: il molo di partenza dell’aeroporto di Orly a Parigi. Da qui il titolo: La Jetée. L’uso della fotografia al posto dell’immagine in movimento, si allinea con la percezione comune dei ricordi. Nel film ‘L’esercito delle dodici scimmie’ (1995) Terry Gilliam si è ispirato a La Jetée.

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1962, 1963, art video, arte, Bouvelle Vague, Chris Marker, daniela voso, Esercito delle 12 scimmie, La Jetée, Terry Gilliam, videoarte

LUIS BUNUEL – SALVADOR DALI’ | Un Chien Andalou | 1929 | 16’

Daniela Voso | 16/01/2012

Luis Buñuel (1900 – 1983) e Salvador Dalì (1904 – 1989) furono artisti surrealisti, regista il primo e pittore il secondo, realizzarono insieme i film Un chien Andalou (1928) e l’Age d’or (1930).

“E se da due sogni ne ricavassimo un film?” Buñuel riassunse in questa frase l’intuizione di Salvador Dalì di realizzare un film surrealista, romanzando la genesi di Un Chien Andalou nella sua autobiografia Mon dernier soupir, dove attribuì a sé stesso l’idea del taglio sull’occhio e all’amico quella delle formiche sulla mano. In verità la nascita e l’attribuzione dei meriti in entrambe le collaborazioni tra i due surrealisti spagnoli sono ambigue e non sempre corrispondono nei racconti degli stessi artisti, nelle lettere e nei documenti.

Un Chien Andalou (datato da alcuni al 1928) è considerato uno dei film di più emblematici del movimento Surrealista, caratterizzato da un montaggio non convenzionale e da una sceneggiatura illogica e irrazionale. Buñuel e Dalì usarono liberamente la grammatica cinematografica sconvolgendo le aspettative e creando associazioni inconsuete, come in un procedimento di scrittura automatica o in un sogno. Nel linguaggio, nei contenuti e nella simbologia di Un Chien Andalou c’è l’attacco ad una cultura borghese, ma nonostante alcune proteste l’uscita del film fu un successo.

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1928, art video, arte, cinema surrealista, daniela voso, FestArte, film, luis bunuel, movimento surrealista, richard wagner, salvador dalì, surrealismo, tristano e isotta, un chien andalou, video, videoart, videoarte, videopills

CINDY SHERMAN | Doll Clothes | 1975 | 2’22”

Daniela Voso | 23/12/2011

Cindy Sherman ( New Jersey, 1954) è una delle artiste concettuali più note a livello internazionale. La fotografia è il suo mezzo prediletto, che usa guardando al cinema.

Subisce il fascino di artiste come Hannah Wilke e studia insieme a Robert Longo; risolve quindi in chiave concettuale l’avanguardia femminista americana degli anni Settanta. Le tematiche ricorrenti del suo lavoro sono il ruolo e la rappresentazione della donna nella società, che interpreta ogni volta trasformando la sua stessa immagine e moltiplicandola con travestimenti veri e propri in set ricostruiti, dove lei stessa è autrice, scenografa, regista, fotografa, costumista, truccatrice, hairstylist.

Doll Clothes è un film girato in 16 mm durante gli anni del College (1975).  È la storia di una bambola di carta impersonata dall’artista, che prende consapevolezza di sé attraverso varie fasi: si vede nuda, esce dall’involucro che la racchiude, si sceglie un abito, lo indossa, si specchia. Nel momento principale mentre apprezza la sua immagine, una mano esterna e sorda alle sue proteste, la ripone nella scatola. La Sherman ha affermato che la mano corrisponde al giudizio dei genitori sui figli, ma la metafora si può serenamente estendere ai clichè della società contemporanea. Qui sono presenti i cardini dei successivi sviluppi del lavoro dell’artista americana.

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WILLIAM KENTRIDGE | Quattro domande | Four questions

Daniela Voso | 07/11/2011

ITA / ENG (scroll down)

Qual è il suo processo di creazione? Parte da un’immagine o da un’idea? O da altro?

L’immagine o l’idea emergono in corso d’opera. È attraverso il processo creativo che si svela chi sono o che cosa è il mondo. Prima viene il fare poi le idee, non è mai il contrario.

L’interdisciplinarietà è un elemento fondamentale dei suoi video? Se sì, in che modo e quali sono le discipline a cui fa riferimento?

In un certo senso, intendo tutto il mio lavoro, dai film al teatro, dalle incisioni alle sculture, come un’estensione del disegno.

Ci sono artisti, videomaker o registi del passato che l’hanno influenzata o suoi contemporanei che sente vicino alla sua ricerca?

Dziga Vertov, Goya, Rembrandt, Daumier, Manet, Velasquez, Philip Guston.

Cosa ha determinato la sua scelta di lavorare, tra gli altri, anche con il mezzo video?

La provvisorietà del mezzo. Le possibilità di lavorare sulla narrazione e la trasformazione.

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1. Which is your creation process? Do you start from an image or an idea? Or  from something else?

It is a process of finding the image or idea through making the work, discovering who I am or what the world is through the process of making work. The making comes first, ideas after, never the other way round.

2. Is the multi-disciplinary approach an essential element in your video? If yes, what are the artistic disciplines that you refer to?

I think of all my work, whether film, theatre, printmaking, sculpture as in some sense expanded drawing.

3. Which artists, videomakers, film directors of the past, have influenced your research and which is the contemporary ones that you feel closer to you?

Dziga Vertov, Goya, Rembrandt, Daumier, Manet, Velázquez, Philip Guston.

6. Why, between  others languages, did you choose to use also the video?

Provisionality of the medium. The possibilities for narrative and transformation.

Image credits: William Kentridge, Stereoscope, 1999, 8’22″, still video

Guarda il video di William Kentridge su LEGEND

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JOSEPH BEUYS | Filz TV | 1970 | 10’

Daniela Voso | 21/10/2011

Joseph Beuys (Krefeld, 1921 – Düsseldorf ,1986) si afferma nei primi anni Sessanta ed è tra gli artisti più significativi del xx sec. Personaggio atipico, fu vicino al movimento Fluxus, ma la sua ricerca non si può inquadrare all’interno di nessuna corrente definita.

Performances, installazioni e progetti a lungo termine diedero forma ad un’ampia vicenda artistica, somma della sua biografia, dell’influenza delle teorie steineriane per l’approccio demiurgico, e del movimento Fluxus per il linguaggio e la radicalità. Beuys si affermò nei primi anni sessanta e utilizzò un vero e proprio lessico costruito su elementi ricorrenti, tra cui il feltro e la cera, a cui attribuì valenze curative, metaforicamente traslate sul piano sociale a fronte di una cultura e di un sistema in crisi. Fine dell’arte non era lo shock, ma il cambiamento nelle coscienze. Tematiche ricorrenti: solidarietà sociale e ambientale, relazioni politiche e crisi della cultura europea.

Filz TV è un video del 1970, realizzato per “Identification” la mostra collettiva dedicata alla registrazione video di “azioni” artistiche e organizzata dalla Fernseh Galerie di Gery Schum a Düsseldorf. Il video è diviso in due momenti. Nel primo l’artista cerca un dialogo con una televisione che ha lo schermo coperto da feltro (filz), prima prendendosi a pugni e poi provando a nutrire l’elettrodomestico con una salsiccia. Invano. Nel secondo momento la televisione resta sola al centro dell’immagine, mentre in sottofondo continuano a sentirsi le musiche e le voci delle trasmissioni.

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Paolo Gioli | Commutazioni con mutazione | 1969 | 7′

Daniela Voso | 23/09/2011

Paolo Gioli (Sarzano di Rovigo, 1942) è videomaker e fotografo. Trascorre parte della sua formazione a New York, alla fine degli anni sessanta. Successivamente lavora tra Roma e Rovigo fino al 1976 quando si trasferisce a Milano, dedicandosi soprattutto alla fotografia.

Particolarmente prolifico fino al ’74, Gioli è vicino agli ambienti del cinema sperimentale e indipendente romano. Difficile dire se sia un videomaker prestato all’arte e alla fotografia o viceversa. Spesso privi di narrazione i suoi lavori sono un collage di immagini, che si ripetono sullo schermo, scandendo il movimento o sdoppiandosi. Dagli anni ottanta Gioli ha esposto sia come artista video, che come fotografo in Europa e negli Stati Uniti. Tra le tante occasioni si ricorda la sua partecipazione a “Linee della ricerca artistica in Italia” (Roma, 1981) e alla Biennale di Venezia nel 1995.

Commutazioni con mutazione è il suo primo film ed è il risultato della sovrapposizione di tre pellicole – super 8, 16 mm e 35 mm – su un unico supporto. Un collage, ritmato dal suono di una pellicola che gira. Il gioco di parole fa eco alle immagini che si susseguono per affinità visiva e senza logica apparente: il volto di un’attrice americana, un paesaggio agricolo, il simbolo della Repubblica Italiana. Qui, Gioli sperimenta le possibilità estetiche della pellicola non solo come strumento, ma come supporto e materia, fino a metterla in primo piano, creando quello che in gergo si definisce metalinguaggio.

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WILLIAM KENTRIDGE | Stereoscope | 1999 | 8′ 22”

Daniela Voso | 08/09/2011

courtesy Galleria Lia Rumma Milano/Napoli

William Kentridge (Johannesburg 1955) ha esordito nel 1979, approdando al video nel 1989. Ha esposto nelle maggiori manifestazioni e istituzioni mondiali, ed è uno degli artisti più noti nel panorama internazionale.

Artista eclettico, sempre riconoscibile per la materialità del tratto e del disegno, Kentridge elabora visivamente gli elementi della sua formazione, avendo studiato, oltre che all’Accademia, Scienze Politiche, Storia del Sudafrica, Teatro e le Arti del Mimo. Questi tratti diventano gli ingredienti delle sue opere: visioni evocative e paradossali che rimandano a tematiche intime e sociali. La tensione al movimento e il segno forte del tratto sono caratteristiche nella sua ampia ed eterogenea produzione artistica che dall’incisione, al video, all’arazzo, attraversa i diversi linguaggi dell’immagine.

I suoi video sono esperimenti sull’animazione che varcano i limiti del disegno, fino ad utilizzare i corpi, le ombre e gli effetti ottici.

Steroscope (1999) è un video di animazione tra i più emblematici. Interpreta il rapporto tra potere, comunicazione, distinzioni sociali e conflitti. Una musica incalzante (Philip Miller, 1999) e i soli rumori della carta e del vociare sottolineano il silenzio di scena.

Presentato anche a Venezia (48 Biennale) nel 1999, Steroscope è un esempio della particolare tecnica usata da Kentridge, che lavora sullo stesso foglio –come su una quinta teatrale- per cui il tratto è ripetutamente disegnato e rimosso, mantenendo la traccia delle cancellature e del movimento.

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